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Artigliere Urbano Fattori, sul fronte tunisino
Sul fronte tunisino
Un breve diario di Guerra dell’Artigliere Urbano Fattori
di Irene Giovannelli
Come diceva un amico "la meta è tutto il significato dell'andare umano:essa è non solo nel momento in cui l'impresa si compie e termina, ma anche in ogni passo della strada. ".
E' per questo che ho deciso di raccontare un pezzettino della strada di mio nonno.
E' impressionante ma nello stesso tempo evidente, da questo racconto, come molte volte la realtà sia incomprensibile e "ingiusta" ma l'uomo afferma veramente sé stesso solo accettandola; tanto è vero che l'uomo comincia ad affermare sé stesso accettando di esistere: accettando cioè una realtà che non si è dato da sé. Vuol esser quindi questa una piccola testimonianza di una strada accettata e vissuta.
BUONA LETTURA !
Tutto iniziò il 2 aprile 1939 quando partì a fare il militare a Bolzano, ma le cose furono ben più lunghe di come io avevo previsto, infatti tornai solo il 12 aprile del 1946.
Appena arrivato a Bolzano passai una visita dal medico di campo che,dopo avermi fatto una puntura, mi disse che era tutto a posto:potevo fare il militare !
Bolzano, a sinistra Urbano e un suo commilitone
Ricordo ancora che dietro di me c’era un ragazzo della Sardegna, il quale era molto magro, fu scartato e rimandato in Sardegna;piangeva e si disperava perché tornare alla sua terra significava tornare alla miseria.Dopo la visita ci dissero di toglierci i nostri vestiti da borghesi e di indossare l'uniforme da militare grigio-verdastra.
A ognuno fu assegnata la branda,non era bella ma con una buona coperta ci si dormiva bene.
3 maggio 1939
Urbano Fattori
La mattina seguente fu fatta l'adunata,tutti ricevemmo un cavallo (il mio si chiamava Zaccherello) al quale dovemmo fare il "brusca e striglia" (cioè pulirlo e strigliarlo ).Rimasi a Bolzano per 2 mesi e mezzo.
Di Luglio andammo a fare le grandi manovre a Torino.
2 agosto 1939
Le giornate passavano piuttosto monotone,ma la speranza di tornare presto a casa ci teneva desti, purtroppo ancora non sapevamo cosa ci sarebbe aspettato da lì a pochi giorni.
Appena arrivati ci fu la sfilata con Mussolini,grandi carri passavano tra la gente che li accoglieva con grande fervore.Dopo poco andammo in Val Badia per un campo di lavoro, con me c'erano due miei amici:Nannini Dino e Mosca Giacomo, dormivamo in tenda insieme,la presenza di questi miei amici mi faceva sentire tutto un po' più familiare,ma poi io fui assegnato al Reggimento di Artiglieria.
Rientrammo a Bolzano poi montammo sul treno e ci dirigemmo a Napoli da lì ripartimmo sulla nave Liguria, subito per la Libia:era il 29 agosto 1939.
"Bolzano 29-08-39
Carissimi genitori vi scrivo questa lettera per dirvi che di salute sto molto bene. È giunta l'ora della partenza e prima di salire sul treno vi faccio presente che sono molto contento, non pensate a me perché sto bene, siamo tanti amici.Sapete sono già vestito da coloniale,con cappello di sughero e vestito giallo. Vi ripeto che siamo allegri. Saluti a tutta la famiglia. Addio il tempo passa.”
Il 1 Settembre sbarcai a Tripoli,durante il viaggio in nave stetti molto male,ero in un angolino della stiva e non riuscivo nemmeno ad alzarmi, mi sembrava che le ore non passassero mai,il tempo mi pareva che si fosse fermato, vedevo gli altri compagni di viaggio che scherzavano, mangiavano insieme ed io invece ero sempre più debole, poi l'ultimo giorno mi ripresi.
"Tripoli 4-9-39
Carissimi Genitori dopo un lungo viaggio siamo giunti a Tripoli, ossia siamo sbarcati a Tripoli, ma però vi dico che, ci hanno portato coi camion, lontano 30 chilometri e ci hanno fatto fare le tende, siamo un pò nella solitudine ma siamo accampati una divisione intera.
Cari Genitori siamo partiti da Bolzano senza fermarsi un minuto siamo giunti a Napoli e appena scesi di sopra il treno, siamo saliti sopra la nave Liguria in cui eramo seimila militari e tutti i materiali. Dunque sono rimasto contento perché il mare non mi ha fatto male, benché abbiamo trovato il mare cattivissimo, se avessi visto quanti rimanevano svenuti e rigettavano anche le budella, invece io non mi sono sentito niente, capirete mi sento un po’ sbattuto, ma io ho avuto la forza di scendere dalla nave proprio con le mie gambe invece molti gli hanno scesi con la barella, certo, pensate da Bolzano fino a Napoli abbiamo viaggiato nei vagoni da bestie, ed eramo rammassati che non si poteva nemmeno respirare.
Cari Genitori io mi ero rimesso con una forza che certo se mi vedevi non mi riconoscevi, prima di partire mi ero pesato e pesavo settantatre chili pensate che più di sessantadue non ero mai stato. Ma cari Genitori non pensate a me perché stiamo molto bene quaggiù non c'è bisogno mi mandiate i soldi perché ci danno 3,20 lire al giorno, sapete mi hanno messo nella motorizzata e abbiamo dei grossi camioni, hanno fatto l'attacco di batteria e mi hanno messo in un posto molto buono, aiutante al carreggio, sarebbe trasportatore di materiali alle batterie anche in caso di guerra.
Cari Genitori siamo saliti a Napoli sopra la nave ci hanno accompagnato dodici musiche, se avessi visto che bellezza, poi appena salito sulla nave sono proprio andato sopra sul balcone e di lassù si vedeva tutto il porto di Napoli,si vedeva il Vesuvio e ho veduto tutte le grandi navi italiane.
Avessi visto quando la nave partiva tutta la popolazione ci dava l'addio e l'augurio, e alla mattina abbiamo passato lo stretto di Messina, io sono sempre stato in cima alla nave perché guardando le acque non sentivo niente, sapete dopo lasciata Messina si entrava nell'oceano e là abbiamo trovato il mare cattivo, se avessi visto la nave faceva l'altalena e, come vi ho detto, molti sono ammalati ed io non credevo mai di trovarmi così bene.
Cari spero che avrete ricevuto le mie cartoline da Firenze e Napoli e più le mie fotografie, ma ne rimango, perché non prendete un minuto, per darmi una semplice risposta, è un mese che non so niente di voi, speriamo che state bene, quando mi scrivete rispondetemi se avete ricevuto mie fotografie, e ditemi tutto, Mamma e Babbo non vi appassionate perché io sto bene e non c'è nessun pericolo, Mamma e Babbo qui in questo posto siamo giunti a mezza notte e abbiamo dormito sotto un cespuglio all'aria aperta, dove siamo non si vede altro che cielo e sabbia e qualche palma da datteri, mentre che sto scrivendo il vento innalza dei nuvoli di sabbia e mentre che scrivo si vedono passare delle squadre di Arabi, sono uomini neri, che sono a cavallo ai cammelli, mentre scrivo c'è un branco di ragazzini neri che chiedono il pane perché sono pochi minuti che abbiamo preso il rancio e ora siamo a riposo sdraiati sulla sabbia, tutti a scrivere alle nostre famiglie, il sole non è proprio brucente si sta discretamente, non avete nessun pensiero perché ci sto molto volentieri, quant'era brutto stare in mezzo ai cavalli ed ora senza cavalli non facciamo più niente.Ora vi dico che da quì andiamo via un'altra volta,non sappiamo quando.Insomma l'indirizzo ve lo dico. Artigliere Fattori Urbano 55.Reggimento Artiglieria, Divisionale 2 gruppo.6 Batteria Tripoli Libia.
Ieri sera siamo passati per le vie di Tripoli col camion ed è una bellissima città. Insomma il buon Dio mi ha sempre voluto bene e vedrete che non si scorda di volermi bene, non pensate a me perché sono contento si canta si mangia e si beve, e si prende molti soldi. Addio il tempo passa aspetto una pronta risposta, saluti e mille baci a tutta la famiglia saluti mia cara mamma non pensate e tu cara Annita, mille baci lontani Vostro Urbano. "
In Libia il caldo era insostenibile , molti amici furono ricoverati , sotto la tenda si arrivava fino a 50°: in giro si diceva che erano quaranta anni che non veniva un caldo così,io riuscii comunque a riprendermi ed a sostenere il caldo soffocante.
Ci accampammo a Tagiura a 5 km da Tripoli. Le nostre giornate trascorrevano sotto il sole cocente del deserto mentre noi eravamo impegnati in esercitazioni e manovre.
Tagiura 24-09-1939
Una volta durante una esercitazione nel deserto, a 50 km dalla "autostrada", fummo colti da una tempesta di sabbia, in pochi minuti ricoprì tutto, noi ricevemmo l’ordine di ritirarci immediatamente. Io ero insieme al tenente e al sergente molto più avanti, poiché stavamo controllando a che distanza cadevano i proiettili, così non facemmo in tempo a ritirarci insieme agli altri. Non riuscivamo a vedere una persona nel raggio di tre metri. Ci mettemmo in cammino verso la direzione che a noi sembrava più giusta, dopo pochi metri ci passò davanti un arabo , gli demmo una moneta e gli chiedemmo se quella era la direzione giusta per arrivare alla "autostrada",lui con aria terrorizzata ci disse :"di la finish, finish" e con altri soldi ci riportò all'accampamento. Gli elicotteri inutilmente ci avrebbero cercato, perché dopo una tale tempesta la sabbia non avrebbe permesso di riconoscere niente.
Libia 24-10-1939
Libia 24-10-1939
Il nostro accampamento era tra le palme da datteri, una mattina un po' affamato presi il mio cappello e iniziai ad arrampicarmi su una di queste; ad un certo punto vidi arrivare un arabo che aveva tutta l’ aria di essere arrabbiato con me. Iniziai a correre più che potevo riuscii a rientrare nel mio campo e mi nascosi nella tenda, l'arabo arrivò fino alla porta del recinto poi il sergente lo fermò facendogli credere che mi avrebbe punito.
Le giornate non erano mai una uguale all' altra qui, ogni giorno un episodio diverso ci faceva magari sorridere, o addolorarci, ma gli imprevisti di ogni giorno erano I'unico espediente per andare avanti. Una volta, a poca distanza dall’accampamento, avevamo incontrato un arabo con il quale avevamo fatto subito amicizia per qualche soldo ci faceva il tè con le noccioline:era eccezionale!
Tripoli 9-12-1939
Qualche volta andavamo in libera uscita al mercato, gli arabi si barattavano tutto; una volta li vedemmo contrattare per una donna e proprio mentre stavano per pagarli, un amico che era con me gli sfilò i soldi dì mano e corse via. Mi appariva sempre più evidente come le usanze e la cultura di questo popolo fossero molto diverse dalle nostre, anche per esempio nel trattare le donne e noi europei ci sentivamo un po' investiti di un compito morale.
Il nostro pensiero fisso rimanevano però la nostra casa e le realtà che avevamo lasciato.
“Tripoli 14-05-40
(…) Annita qualche giorno che hai tempo di scrivere mandami a dire qualcosa dei campi, dimmi se quest' anno viene bene l' erba, se sono buoni i prati, dimmi le bestie quante ne avete, dimmi se hai sempre i miei piccioni, o sono morti, dimmi la bicicletta se viaggia sempre, dimmi se il grano è bello, e se le viti hanno buttato di molta uva, perché voglio venire a mangiarla, dimmi quante volte hanno ramato. Dimmi se hanno chiamato altre classi, qua non si sa niente ma pare che non vada tanto bene.(...)."
Spesso, però, succedevano anche episodi di mera convivenza tribale, dove per sopravvivere si era disposti a tutto.
Una sera dopo essere stato sulla spiaggia quando rientrai nella tenda mi accorsi che era sparita la mia coperta e passare una notte senza le coperte significava ammalarsi sicuramente , così mi ricordai che le mie coperte le avevo segnate in un angolo quindi mi misi a cercarle. Le trovai, me le aveva rubate un commilitone, ci prendemmo a botte poi intervenne l'ufficiale. Fummo convocati sotto la tenda del maggiore il quale ci brontolò poi tornammo alla tenda e dormimmo.La mattina successiva venni a sapere che questo era stato trasferito in un'altra batteria.
Non ho più saputo niente di lui,ma episodi di questo genere erano all' ordine del giorno.
Di tanto in tanto a casa mandavamo qualcosa ma succedeva spesso che durante il viaggio i nostri pacchetti andassero perduti.
"Tripoli 24-05-40
Annita carissima vengo con questa lettera per dirvi che di salute sto molto bene, il simile voglio sperare sia di te e tutta la famiglia. Annita carissima oggi stesso ho voluto inviarti un pacco che spero ti giungerà presto, sai Annita e mamma, era da tanto tempo che avevo quei due maglioni,che me li mandaste quando ero a Bolzano,a Bolzano mi facevano comodo perché faceva fresco, ma qui in Libia fa troppo caldo sicchè a tenerli si sciupano e poi mi davano piuttosto noia non avevo dove tenerli.
Annita dentro il pacco ci ho messo 2 maglie, 1 cassettina di datteri, spero che li mangerete tutti in famiglia, 4 fazzolettini, 1 paio di calze, 3 cuscini, per ricordo me li devi mettere da parte, e quando torno se mi mandano in licenza te li porto anche a te, poi ci ho messo una spazzola e un paio di occhiali, e un portafoglio che lo serberai per me. Dimmi se ho fatto bene o male a spedirlo. Ci ho messo anche una galletta con una mia fotografia sopra, vedrai la mia foto con due baffi che non mi riconosci, mi sono fatto questa foto sotto le palme da datteri, ma sono venuto male.
Annita subito mi devi mandare a dire se la galletta è arrivata senza rompersi e me la devi conservare per ricordo. Appena ricevi il pacco mandamelo a dire e se vi hanno fatto pagare qualcosa quando lo avete ritirato. Io ho speso solo 5 lire a spedirlo.
Carissima Annita io sto molto bene fra poco abbiamo finito il campo ci dicono che andiamo a Zavia, distante 130 chilometri da qui. Si sentono discorsi non troppo buoni di che succede in Europa, ma sempre coraggio. Ieri abbiamo fatto anche noi la festa del Corpus Domini, siamo stati alla messa sotto le palme dei datteri, in mezzo al nostro accampamento abbiamo fato una piccola processione.(...).-"
Una mattina che poteva sembrare come tutte le altre fummo fatti andare tutti nella piazza centrale... dall'altoparlante: "si parte per il fronte tunisino".
Montammo sul camion e a suon di marcia ci dirigemmo a Zavia, appena arrivati montammo le tende e ci preparammo per passare la notte.
Il 10 giugno 1940 dall'altoparlante si sentì che era scoppiata la guerra: "soldati è stata dichiarata guerra alla Francia e all'Inghilterra".
La mattina dopo fummo svegliati dal suono degli apparecchi che volavano sopra le nostre teste, ci fu ordinato di mettersi al riparo così corremmo nelle trincee.
Da sotto terra sentimmo uno sferrato bombardamento ma tutti rimanemmo illesi, eravamo spaventati, nei nostri occhi si poteva leggere la paura, tutti, anche se non ce lo dicevamo, sapevamo benissimo che quello sarebbe stato il primo di tanti bombardamenti: eravamo in guerra. Dopo qualche ora non c'era più niente da fare se non tornare all' accampamento.
Dopo otto giorni ci giunse la notizia che la Francia si era arresa, adesso la guerra continuava contro l'Inghilterra.
Mi ricordo che dopo questa notizia il camion andò a lare la spesa e io e il Nannini ci facemmo comprare una bottiglia di liquore volevamo festeggiare, si Pensava che di lì a poco anche l'Inghilterra si sarebbe,arresa, questo significava il nostro ritorno a casa. Ogni giorno il nostro pensiero fisso erano i nostri cari, molti soldati avevano lasciato a casa moglie e figli piccoli, nessuno di noi sapeva se e quando sarebbe tornato ma il solo pensiero ci rendeva più sereni. Ma ancora una volta le cose furono ben più lunghe.
A fine di Luglio ci fecero tornare a Tagiura.
“p.m 20-11-40
(…)per aria non c'è nessun pericolo, non ne abbiamo più visti da molto tempo, dunque non avete pensiero, i nostri cannoni sono puntati verso il mare e ci abbiamo scritto “DI QUI NON SI PASSA"
(...) La mia vita è di stare in fureria, ossia in ufficio, mi imparo a scrivere, e non faccio niente se non spazzare un po' la mattina. I miei superiori mi vogliono tanto bene che non ne avete idea.
Noi ci abbiamo una bella stagione a che sento voi non l’avete tanto buona, ma meno male che vi è rimasto poco da seminare.(...)
Sempre pazienza tornerà anche per noi quel lieto giorno che ritorneremo alla nostra bella casa natia. Certo non siamo mai contenti, quelli che si trovano alla frontiera stanno sicuramente peggio di noi.
Carissima Annita anche a te ti sembra di essere smarrita non vedendo più il tuo caro Urbano da tanto tempo, ma fatti coraggio, come vedi che ce ne sono tanti nel tuo stato, i nostri zii hanno fatto quattro anni ma poi venne il bel giorno che ritornarono, e vincitori. Così faremo noi.(...)."
Una volta dopo una esercitazione ci diedero un po' di tempo libero, così camminando verso l'accampamento vedemmo un aranceto circondato da piante di fichi d'india. Le arance erano belle di un arancio quasi dorato, io e il Nannini ci infilammo dentro il frutteto e iniziammo a raccogliere arance, ce le infilammo in seno ma mentre stavamo per andarcene arrivò un arabo, urlava contro di noi e in pochi secondi ne arrivò un altro e poi un altro ancora e un altro: urlavano e gesticolavano.Il Nannini si avvicinò a uno gli diede una spinta e io iniziai a correre, arrivammo all'accampamento il sergente gli disse che ci avrebbe messo in carcere. Appena se ne andarono si mise a mangiare le arance insieme a noi.
Notizie ne avevamo sempre meno fino a quando il comandante fece fare una adunata e ci disse: "ragazzi preparatevi si va in Cirenaica verso Tobruck".
Montammo sul camion carichi di cannoncini e munizioni e viaggiammo per qualche ora, arrivati a Misurata ci fecero sistemare in un vecchio capannone.
"Posta militare 5-12-40
Caro babbo proprio oggi vi invio un' altra sigaretta, però questa è migliore assai è proprio di quelle che danno ai combattenti. Mio caro babbo voglio abituarvi a fumare, io quando ritorno, così dico che siete tornato giovane, fumate questa mia, che vi giunge dalla lontana terra abitata da gente di colore. Sotto il sole non più tanto cocente si vede l'arabo che col suo cammello prosegue lungo la via dei deserti, si vede con la sua carovana, che cammina scalzo, con un manto addosso il suo volto secco e snello che quando cammina sembra una lepre in fuga.(...)"
La notte mentre mi stavo per addormentare sentii che un gruppetto di gente stava parlando di San Piero a Sieve, mi alzai mi avvicinai e riconobbi Amedeo Vannini, un mio compaesano, parlammo di casa e di alcuni conoscenti, lui mi disse che dopo essere partito per venire a fare il militare era tornato una volta a San Piero e in quei giorni si pativa la fame. Chissà cosa facevano i miei familiari, avevo lasciato a casa i miei genitori anziani e la mia sorella che doveva provvedere a tutti e tre, che voglia di riabbracciarli, di rivederli o anche solo di sapere se stavano bene, ma potevo solo pregare il Signore che li vegliasse. Ci salutammo e la mattina dopo ripartimmo verso Tobruck.
"p.m.15-12-40
Carissimi Genitori,
vengo con questi due righi a farvi sapere le mie buone notizie, come il simile mi voglio augurare sarà di tutti voi in famiglia(...)siamo prossimi alle feste natalizie e sempre lontano, e dopo essere lontano siamo anche in dei momenti turbolenti, speriamo sempre che il buon Dio mai ci abbandoni:per ora ringrazio il Dio che mi trovo in luogo sicuro, pensando a tanti dei nostri compagni che sul campo di battaglia spargono il loro sangue per la nostra cara Patria.
(...) Speriamo di passare le feste tutti sani, come per il presente.(...)"
Tutti i camion procedevano in fila indiana, arrivati a 50 km da Bengasi il nostro autista che ormai di viaggi ne aveva fatti tanti ci chiese se volevamo fermarci lì vicino a mangiare la pastasciutta da un siciliano, noi eravamo contentissimi perché erano diverse ore che viaggiavamo su quel camion.
Era la notte di Natale del 1940.
II siciliano abitava in una vecchia casa fatta di fango, appena ci vide arrivare prese una stagna la riempì di acqua e la fece bollire, poi ci butto dentro gli spaghetti e ce li condì con la pomarola , noi tirammo fuori la gavetta, lui ce la riempì e mangiammo fino a schiantare; così a modo nostro festeggiammo il Natale o forse è meglio dire che fu il Natale ha fare un bel regalo a noi.
Nessuno si era accorto della nostra fuga, rimontammo sulla strada principale e raggiungemmo la colonna dei camion a Bengasi, lì facemmo il rifornimento di acqua, gallette , scatolette e benzina poi ripartimmo alla volta di Tobruck.
Era ormai notte fonda.
Durante questo tragitto ci accadde un episodio che vale la pena raccontare:dopo qualche ora di viaggio al nostro autista prese un attacco di sonno, si avvicinò un po' troppo al ciglio della strada e le ruote laterali iniziarono a pendere, a quel punto invece di cercare di rientrare, girò di lato verso il precipizio, venimmo sballottati a destra e sinistra, mi ricordo che io picchiai il naso e mi iniziò a buttare sangue ma per il resto non ci furono conseguenze, ancora una volta qualcuno aveva vegliato su di me. Dopo una mezz'ora raggiungemmo nuovamente la colonna dei camion.
Quando giungemmo a circa 40 km da Tobruck arrivarono 8 apparecchi militari inglesi che iniziarono a sparare, io scesi dal camion e mi riparai dietro una ruota, stetti nascosto per poco, infatti solo dopo qualche minuto gli apparecchi se ne andarono.
Cosa vuol dire sentirsi sparare addosso credo che pochi lo sappiano, ma posso assicurare che solo in quei momenti uno si rende conto quanto la vita sia un bene prezioso e i gesti che compi per salvaguardarla sono quasi meccanici.
Trascorso un altro intero giorno di viaggio arrivammo a destinazione: era ormai notte inoltrata.
Piantammo le tende proprio nella piazzaforte, eravamo stanchi e assetati ma acqua non ne avevamo ed era impossibile trovarne, così fummo costretti ad addormentarci in quelle condizioni. Oggi ripensando a quei momenti penso a quanti sprecano acqua e cibo senza rendersi conto che poterne avere in abbondanza è una grazia da non sottovalutare.
Il giorno seguente ci rifornirono con acqua e gallette. Di buon mattino iniziammo a scavare per piantare le tende, facemmo una buca quadrata e sopra mettemmo il telo in tirare e poi ancora terra, posizionammo le scalette per scendere e così ci assicurammo di essere ben nascosti: nessuno ci poteva vedere.
Ricordo nella mia tenda:Umberto Buttarelli, Romano Crucioni, un sardo che faceva di cognome Arù e il tenente Branchesi.
Stemmo nascosti in quelle misere condizioni per 20 giorni, mi colpisce come anche in quelle condizioni I'uomo non smette mai di essere uomo e i gesti di solidarietà non mancarono mai; poi una mattina sentimmo dei rumori e vedemmo davanti a noi sganciare delle bombe che furono seguite dall'arrivo dei carri armati.
I nostri camion erano quelli della guerra del'15-'18, erano ormai vecchi e si inceppavano in continuazione così dopo poco fummo costretti ad arrenderci.
Dagli apparecchi ci gettarono questo messaggio: "Italiani arrendetevi raggiungerete migliaia di vostri compagni, la piazzaforte è circondata non avete modo di sfuggire, la nostra marina spara su Tobruck, arrendetevi vi esporrete ad una inutile carneficina, arrendetevi ".
Nel mio diario, purtroppo perduto mi ricordo che scrissi:
“ il cerchio è rotto, la resistenza è franta, la piazzaforte è presa tutta quanta”.
Uscimmo tutti con le mani alzate: eravamo prigionieri. Ci perquisirono e ci presero tutto quello che avevamo, a me presero un coltello e una penna che avevo prestato al tenente.
Durante la resa cadde una bomba poco distante che ci ricoprì tutti di terra ma non ci furono feriti, proseguimmo l'avanzata a piedi, camminammo sorvegliati dalle sentinelle dalle 8 fino alle 22, senza mai fermarci.
Alle 22 ci fecero fermare, eravamo nel deserto della Marmarica, strappammo un po' di cespugli secchi e con quelli ci facemmo un fuoco per scaldarci, ho ben in mente tutti i nostri volti bianchi e smunti intorno a quel falò, nessuno parlava ma dentro ognuno di noi sapevamo che la sofferenza era la stessa per tutti quanti. Alle due di notte sentimmo arrivare degli apparecchi, dopo solo Alcuni minuti erano sopra di noi e iniziarono a sganciare bombe. I o mi buttai a terra per cercare almeno di non prendenti le schegge, tutti coloro che tentarono di scappare vennero letteralmente falciati. Quando mi rialzai da terra, lo spettacolo era atroce, vedevo solo morti e pezzi di cadaveri e i vivi erano per lo più feriti e si lamentavano come bambini, non potevo fare niente e questo rendeva la loro sofferenza per me ancora più atroce. Il resto della notte lo passammo all’aria aperta, dato che l'accampamento era quasi completamente distrutto, tentando di dormire.
La notte era abbastanza calda e il cielo era sereno ma dormire sembrava un' impresa eroica: si sentiva l’odoredi sangue e i lamenti sembravano I'eco di un incubo, poi però la stanchezza ebbe la meglio e riuscii ad addormentarmi.
La mattina tornammo sul luogo della strage, vidi questa volta chiaramente molti conoscenti e amici morti e ridotti in brandelli, tra i feriti riconobbi il Buttarelli, era ferito ad un gluteo, tentai di medicarlo ma aveva perso troppo sangue e poco dopo morì. Sembrava quasi che il Cielo si fosse scordato di noi, ovunque mi girassi c' era disperazione e non sembrava che ci potesse essere niente a cui appigliarsi per andare avanti eppure la vita continuava e anche solo per poter raccontare un giorno cosa genera una guerra valeva la pena ancora lottare per sopravvivere.
In seguito arrivarono le guardie inglesi che ci portarono via, i feriti vennero caricati tutti su un unico camion e i morti vennero seppelliti sul luogo, in una grande fossa comune.
Gli inglesi ci misero tutti in fila indiana intervallati da sentinelle che ci tenevano sotto tiro con le baionette, diretti verso Tobruck. Uno dietro di me disse che sapeva dov'era il magazzino con tutti i rifornimenti e si mise a correre: lo seguii e insieme a me altri due soldati.
Cosa passa nella mente di un uomo non l’ho ancora capito perché pensandoci razionalmente seguire quel pazzo era la cosa più folle che si potesse fare, le pallottole ci sfioravano a destra e a sinistra, corremmo con quanto fiato avevamo in gola e anche questa volta ci andò bene!
Arrivati al magazzino mangiammo e bevemmo fino a scoppiare poi prendemmo borracce e gallette, io presi anche un cappotto e uno zaino. Ripartimmo subito alla volta di tutti gli altri, quando li raggiungemmo stavano entrando nel reticolato gli ultimi. La guardia inglese quando ci vide non disse nulla, dentro al buio buttammo zaini e provviste e ci mettemmo tutti e quattro a dormire.
Durante il giorno tenevamo i nostri rifornimenti ben nascosti e di notte mangiavamo, sentivamo gli altri lamentarsi e li vedevamo svenire ma bisognava stare zitti o ci saremmo ridotti nelle solite condizioni anche noi senza di fatto risolvere niente perché le provviste non sarebbero certo bastate per tutti.
La nostra razione era una volta al giorno con le sentinelle che con il fucile puntato mantenevano l'ordine, una volta vennero addirittura uccisi due uomini che " avevano troppa fretta di mangiare ".
"La tenda è diventata la nostra casa e ci stiamo bene perché abbiamo fatto abitudine, gli insetti sono i nostri amici che ogni tanto ci combattono."
Ogni giorno da quel reticolato venivano smistati uomini per il sud Africa, il Kenya,l'Australia, l'India e l'Inghilterra; ma io e i miei quattro amici,finchè non avemmo finito tutte le provviste non ci avvicinammo mai a quel reticolato.
Le condizioni igeniche peggioravano di giorno in giorno,i pidocchi ci avevano assaliti e le nostre provviste iniziavano a scarseggiare. Alla fine, con gli ultimi rimasti, ci caricarono su una nave, aprirono i tavoloni e ci buttarono nella stiva.
Il mal di mare iniziò subito a farsi sentire e le cose peggioravano di ora in ora: mancava l'aria e il cibo che lo calavano giù da fessure non era mai sufficiente per tutti. Passai quattro giorni in un angolino della stiva sperando di poter al più presto vedere la luce.
Sbarcammo ad Alessandria d'Egitto il 21 febbraio.
Dare notizie a casa era piuttosto difficile,così come riceverle, ma si continuava a sperare.
"Fortuna 1-2-1941
Carissimo fratello vengo di nuovo a darti le nostre notizie le quali sono buone, come spero che sarà il simile di te.Urbano ti faccio presente che è un mese che non abbiamo tue notizie, abbiamo un gran pensiero."
Appena arrivati ci portarono in un campo di concentramento e lì ci misero in fila per tagliarci barba e capelli e fare un bagno. Ci fecero spogliare, lasciandoci solo la cintura e le scarpe, facemmo un monte di tutti i vestiti e gli arabi li disinfettarono per uccidere tutti i pidocchi.
Quando uscii dalla doccia trovai vestiti che non erano i miei e i pidocchi, che non erano morti, in tutte le cuciture: presi un paio di pantaloni di tela e un vecchio cappotto. A marcia forzata ci portarono al campo di Eluan.
Arrivati al campo ci smistarono e ci misero insieme a tanti altri prigionieri che erano già lì: io fui messo nel terzo campo-secondo blocco.
Quando entrai nella gabbia c'era solo il fossato, bisognava montare le tende e costruire gli orinatoi. Qui ci restai per sei mesi. La vita nel campo di Eluan era dura: a colazione ci spettava un gavettino di tè amaro, a mezzogiorno un gavettino di riso e lenticchie con una pagnotta di pane da dividere in otto persone e a cena ancora tè amaro.
"Nei giorni del 9 e 10 maggio 1941 ricordo che abbattuto dal gran caldo, ci trovammo anche senza una goccia di acqua. Il ghibli infocato non dava più respiro ci eravamo già decisi per la morte, mentre le guardie che ci circondavano, sparavano seriamente per tenere indietro la massa prigioniera che si ammassava a succhiare acqua in un buco di immondizia ".
Una volta passò un cappellano,io ero fuori della tenda, mi chiese se volevo mandare notizie a casa, io gli dissi di si, così mi prese nome e cognome:a casa fu trasmesso via radio che stavo bene e mandavo i miei saluti.
Con il passare dei giorni e dei mesi le cose peggiorarono ed io cominciai a perdere la vista, dovevo essere portato a braccetto:ero praticamente cieco.Dopo sei mesi iniziammo a diminuire perché ci fu un altro smistamento: mi portarono in un altro campo sempre ad Eluan. Qui intervenne la Croce Rossa internazionale che ci fece aumentare la razione:iniziai a riacquistare la vista. Passati sei mesi ci spostarono nuovamente, questa volta vicino al canale di Suez. Qui le cose erano ancora migliori, avevano aumentato la razione giornaliera e le sentinelle ci portavano a fare il bagno.
Il 9 giugno del 1941 venne a fare visita ai prigionieri del campo il cardinale della delegazione apostolica d' Egitto e Palestina ci parlò dall' altoparlante e poi ci lasciò a tutti un librettino di preghiere che ho conservato fino ad oggi.
Rimasi nei pressi del canale di Suez fino al 1942; il 6 Maggio dello stesso anno mi imbarcai per il Sud Africa. Io fui uno degli ultimi ad imbarcarmi a causa di un mio malessere, nella nave partita prima della mia erano imbarcati dei miei amici e i miei due cugini e a me dispiacque molto non andare con loro; ma la loro nave dopo poco che erano partiti venne silurata e molti, che si erano buttati in mare per cercare la salvezza, morirono, mentre quelli che erano rimasti sopra la nave perché non sapevano nuotare vennero salvati. Purtroppo io persi uno dei miei cugini e i miei amici. Qualcuno potrebbe dire che io ebbi fortuna, ma io penso piuttosto che ci sia un destino scritto per ciascuno di noi.
Mentre eravamo sulla nave, ci fu una bufera, all'improvviso suonò l'allarme e ci fu comandato di andare in coperta e di restarci fino a nuovi ordini. La nave iniziò a muoversi vertiginosamente su e giù e l'acqua entrava e usciva senza interruzione, i marinai lavoravano con altrettanta continuità. Per fortuna con la stessa velocità con cui la tempesta era arrivata se ne andò. Lungo il viaggio la nave fece molte soste.
Finalmente arrivammo a Durban il 25 maggio 1942 e dopo una sosta di tre o quattro giorni ci portarono a Città del Capo: il campo o di concentramento ospitava 70.000 prigionieri, ci assegnarono a tutti un numero di identificazione,io ero il 188163 e da quel momento non sarebbe più contato né il nome né il cognome ma solo il numero:lo sentivo pronunciare alla mattina e alla sera, era diventato più identificativo del mio nome stesso, questo significa essere un uomo ridotto a numero.
Se si pensasse che la libertà consistesse nel poter dire ciò che si vuole e affermare il proprio nome alla pari di quello di un altro,io la libertà I'avevo persa da tempo e ora era poco più di un numero, ma penso che la libertà sia qualcosa di più, qualcosa che un uomo finchè vive la conserva dentro il cuore, questo mi permetteva di sentirmi ancora un uomo.
A fine Dicembre fecero passare una circolare tra i prigionieri che chiedeva chi sarebbe stato disposto a lavorare, io diedi il mio consenso. Il primo Gennaio 1944 iniziai a lavorare alla mietitura. Nei mesi trascorsi sotto le armi ho riscoperto il valore del lavoro che non è solo il passatempo economico dell' uomo ma è un qualcosa che valorizza il tempo, che senza fare nulla mi sembrava di perderlo irreparabilmente.
Qui conobbi Marta Venter (Provincia Orange - Farma Florida – Devetstorp) una bella ragazza che mi regalò anche una sua fotografia. Dopo un mese ci portarono a lavorare vicino a Città del Capo, dovevamo costruire una strada.
Mi ricordo di quando, una volta, in libera uscita andammo a fare una girata e mentre passeggiavamo vedemmo un masso enorme che poggiava solo per una piccolissima superficie,facemmo perno e lo facemmo precipitare, rotolò e rotolò fino ad arrivare sul cantiere della strada, il giorno seguente il padrone dovette chiamare una ruspa che lo rimuovesse; per fortuna nessuno si accorse di chi fosse la colpa.
Anche se qui si stava bene non passava giorno che non pensassi a casa e al giorno del ritorno:
"Cari genitori sono contento nel sentire che avete fatto una buona sementa speriamo che possa venire anche io a mieterlo. Ah! Che felicità a rimietere nel mio posto nativo, che anche se stassi lontano 20 anni sono sicuro che mai mi scordo del mio posto nativo.(…)"
A parte sporadici episodi le giornate erano piuttosto monotone ma non stavo male,la razione era buona e con i compagni di lavoro mi trovavo bene.
Al nostro reticolato veniva sempre un negretto, all'inizio mi ricordo che era "secco come un chiodo", quando venimmo via che era diventato "bello grasso" perché mangiava tutta il cibo che noi rifiutavamo.
A lavorare alla strada insieme a noi c'erano anche dei ragazzi di colore, una volta uno scivolò e rimase impigliato in un ramo su una rupe, nessuno si preoccupò di tirarlo su e noi non potevamo fare nulla, gli sciacalli lo divorarono e dopo qualche giorno non erano rimaste che le ossa.
In tutto il periodo che stemmo a lavorare per fare questa strada ci prese in consegna il padrone della fabbrica, uno spagnolo; tutte le mattina comprava il giornale e ci leggeva gli esiti della guerra.
Una mattina ci lesse che a Monte Cassino c'era stata una battaglia e adesso ci si spostava verso Firenze, il campo di azione sarebbe stato il Mugello:io ero in pena per la mia famiglia. Oramai erano passati anni senza che io avessi più avuto notizie, ma il loro pensiero non mi aveva mai abbandonato, pensavo a loro la mattina quando aprivo gli occhi, durante il giorno e la sera prima di addormentarmi.
La mattina seguente ci lesse che i tedeschi erano in fuga:il Mugello era libero;io mi sentii risollevato e mi tornò la voglia di tornare a casa.
Le notizie le avevamo tutti i giorni,la ritirata dei tedeschi si faceva svelta,la Germania si era arresa ma resisteva ancora il Giappone: gli americani buttarono la bomba atomica a Hiroshima.
La guerra era vinta:1945.
Per rimpatriare dovetti aspettare il 1946, partii dal Sud Africa i primi di febbraio, per arrivare ci misi quasi due mesi; prima ci riportarono al campo poi ci imbarcammo e tornammo in Egitto.
Mi ricordo che prima di imbarcarmi comprai un cesto di banane, poi sulla nave mi prese il mal di mare e le banane le misi in un angolo e me ne scordai, quando arrivai a riprenderle erano tutte marce e le dovetti buttare via. Dall'Egitto ci portarono a Napoli e da lì in treno andammo a Roma,ci fermammo per tre giorni alla caserma Bianchini.
Dopo Napoli fu la volta di Firenze, qui andai in via Masaccio dalla zia Palmira e fu lei ad avvertire Anita,la mia sorella.Montai sul camion delle ferrovie e ci incamminammo verso San Piero: quando arrivai alla pieve il primo che incontrai fu il Titti che mi abbracciò e mi baciò, poi mi prese lo zaino e ci incamminammo verso casa.
Quando arrivai sul ponte vidi l'Anita che mi stava venendo incontro in bicicletta, appena mi vide buttò la bici nel fosso e mi corse incontro con le lacrime agli occhi dall'emozione:così dopo sette anni e dieci giorni potei riabbracciare la mia sorella, unica sopravvissuta alla mia famiglia e mettere un punto a questa storia che però mi rimarrà per sempre nel cuore.
Urbano si è sposato nel febbraio del 1947 e ha avuto 3 figlie. Per lavoro si è trasferito a Prato dove è rimasto fino al 2010, anno in cui ha terminato la sua esperienza terrena.
Urbano Fattori (1917-2010)
Ringraziandoti per questo esempio di vita, per avere sempre testimoniato il valore dell'esistenza e per aver con tanta tenacia sempre continuato a sperare, con affetto tua nipote Irene.