I Fratellini

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Una gloriosa famiglia pratese di clown

I FRATELLINI

di Michele Risolo

I tre Fratellini.Dal basso:Alberto, Francesco e Paolo (1)

“ Benchè negli spettacoli di circo, a Parigi, ricorra tuttora il nome famoso dei “Fratellini”, la grande dinastia dai clown, che trionfò nelle maggiori piste del mondo con tale nome, è in realtà finita nel maggio del 1961, con la morte di Alberto,l’ultimo superstite dei tre celebri fratelli. Con la scomparsa di lui-aveva 76 anni,-il “trio” non più ripetibile,che aveva formato il diletto di milioni di spettatori, grandi e piccini, chiudeva definitivamente il suo arco vitale e passava alla storia: perché c’è anche una storia dello spettacolo; e in essa i Fratellini hanno lasciato il loro segno.
E’ noto che tutti e tre gli artisti – Francesco, Paolo e Alberto – avevano conservato la loro parlata toscana, sia pre contaminata dal vario gergo della pista: essi infatti erano originari di Prato, ove il loro padre, Gustavo, era nato nel 1842, da genitori piccoli e borghesi.
Come allora frequentemente si usava, il piccolo Gustavo,quand'ebbe l'età prescritta, era stato messo in seminario a Firenze. I genitori volevano avviarlo per la carriera ecclesiastica, ma egli s'iscrisse poi alla fa­coltà di medicina; e poiché i suoi diciott'anni coincisero con l'avvento delle gesta garibaldine dei Mille, Gustavo, non appena ne ebbe notizia, fuggì nottetempo, raggiunse la Sicilia, si arruolò, fece valorosamente tutta la campagna,sino allo scioglimento delle formazioni volon­tarie, dopo il crollo del regno borbonico.
Smessa la divisa si trovò a risolvere un penoso problema.Dove andare? Ritornare a casa? Era la pro­spettiva che meno gli sorrideva.Si arruolò fra i bersaglieri dell'esercito regolare; e poi fu ancora fra i cacciatori delle Alpi, con Garibaldi, a Bezzecca e a Digione.
Lasciata definitivamente la vita militare,si unì, per naturale istinto e per misteriosa ispirazione, a un gruppo di acrobati che lavorava nel circo Myers: e divenne in breve uno dei migliori «saltatori» del suo tempo. Con l'uno e l'altro circo - il Grillaume, il Salamonsky, russo e molto celebrato, lo Schumann - Gustavo Fratellini girò per trent'anni il mondo. Si era ben presto spo­sato con una brava ragazza fiorentina e ne aveva avuto dieci figli, di cui sopravvissero soltanto quattro: Luigi, Paolo e Alberto, clown musicali e saltatori, e Francesco, cavallerizzo di alta classe, uno dei rari che fosse capace di fare il salto mortale su due cavalli lanciati a tutta corsa nella pista. 
Inopinatamente, dopo breve malattia,Luigi moriva a Varsavia, nel 1907, lasciando cinque figli,tutti bambini. Dinanzi alla responsabilità che si presentava di allevare ed educare degnamente i nipotini, gli altri tre fratelli decisero di lavorare assieme. Francesco, beninteso, doveva vendere i suoi cavalli e imparare a infarinarsi la faccia, ogni sera, e trasformarsi in clown.Così fu. E nacque, nel 1910, il celebre trio che diventò famoso calcando le vie del mondo.
Esso ebbe il periodo del suo splendore dopo il 1920, quando fu quasi sempre di stanza al Circo Medrano di Parigi. La sua fama fu tale che nel 1923 recitò alla Comedie Francaise, dinanzi a un particolare pubblico - i Societaires - ed ebbe gli ammirati elogi di grandi artisti, di scrittori insigni e poeti, nonché l’insegna della Legione d’Onore. Le “battute” dei tre erano così perfette - per armonia dell'insieme, tonalità, dizione - che Jacques Copeau invitava regolar­mente i Fratellini al Vieux Colombier perché gli allievi imparassero « come si recita in pista».E già nel febbraio 1920 essi avevano conosciuto il trionfo sul palcoscenico, recitando al Teatro dei Champs Elysées la farsa imma­ginarla « Le boeuf sur le toit », apprestata da Jean Coc­teau, con musiche di Darius Milhaud e scene di Raoul Dufy.  
Nel trio, il maggiore dei tre fratelli, Paolo, aveva il ruolo di «zio Paolo »; si presentava puntualmente in frac e cilindro, privo di truccatura e con grande sussiego nell'incedere e nel gesto; impersonava la caricatura del borghese di provincia. Francesco calzava sul capo un cappellaccio a cono, di feltro, candido come il viso infa­rinato, indossava una tuta larghissima ed elegantissima di raso chiaro, ricamato a fiorami, spruzzata di lustrini e pagliuzze d'oro che scintillavano alla luce dei riflettori; Alberto invece recitava la parte del tipico Tony, col viso sformato da una maschera di trucco violento, in testa una abbondante parrucca rossa, o verde, o di vari colori, che a tratti si rizzava in virtù di misteriosi meccanismi (le sue parrucche furono più di trenta, tra immobili e animate) e addosso un abito enorme e cascante da ogni lato. 
Le loro incredibili trovate e battute, nelle quali la fantasia di Francesco era inesauribile, sono in parte ri­cordate nella loro prima biografia in francese, per la qua­le Jacques Copeau scrisse una notevole prefazione. Ma neppure una sillaba era frutto d'improvvisazione. Pur re­citando in tutte le lingue, fra loro preparavano le «en­trate» in toscano, e affidavano al pubblico la «battuta» dopo averla provata e riprovata infinite volte.
Nel giugno del 1940 il trio subì la gravissima perdita della morte di Paolo: lo sostituì Alberto Geretti ("Gagà") anch'egli discendente da un'illustre dinastia di Clown pratesi. Bravissimo in pista, Geretti era, nella vita privata, un infelice nevrastenico, tormentato da una mania di persecuzione che lo portava spesso a tremende crisi di disperazione:e una sera del novembre 1950, finito lo spettacolo in preda ai suoi tetri umori, discese le scale di una metropolitana si gettò fra le rotaie e rimase orribilmente schiacciato dal convoglio che giungeva in corsa in quell’istante.
Fu, praticamente, la fine del “trio”anche perché si sapeva che Francesco, operato già una volta di cancro aveva pochi mesi di vita: e di fatti il celebre clown faccia infarinata e dal cappellaccio a cono di feltro bian­co, morì nell’estate del'51: poche settimane prima si era fatto confezionare l'ultimo suo vestito da pagliaccio, fastosissimo, «per scaramanzia» come egli stesso aveva detto.
Così Alberto Fratellini rimase solo, nella grande casa costruita a Perreaux, ch'è uno dei più eleganti quartieri residenziali della periferia parigina, solo con i suoi ricordi. Però di quando,in quando, non appena possibile, gran parte della discendenza dei Fratellini (tredici nipoti e più di trenta pronipoti, nato, ciascuno, in ogni parte del mondo)si riuniva nel vasto giardino della vil­la di Perreaux a confortare il vecchio clown. Lavoravano, anch'essi, quasi tutti nel circo (clown, acrobati, uomini volanti, cavallerizzi), e gran parte delle giornate che tra­scorrevano a Perreaux (un paio di settimane o poco più) eran dedicate, nel pomeriggio, ai loro giochi: per alle­namento non solo, ma anche per la messa a punto di qualche nuova invenzione. Giorni di festa, quindi, per Alberto, che finiva col presentarsi anche lui, truccato, in giardino (il pubblico, chiassoso e lieto, era costituito tutti i ragazzi del quartiere) e si esibiva in qualche antica scena che nipoti e pronipoti trovavano un po’…. ingenua.
Nel 1953 Alberto tentò di ricostituire il “trio” ma senza successo,perché il successo e la grandezza dei Fratellini derivavano dalla loro perfetta intesa. Nel 1956 gli fu assegnato il premio “Amar” per la migliore opera dell’anno sul circo e il music-hall, il suo libro di memorie ” Noi, i Fratellini”. Calcò anche per breve tempo le scene del teatro: se ne allontanò ben presto, perché egli era nato nel circo e il “circo - son sue parole - è tutt’altra cosa”.E la nostalgia del circo fu tale (proprio nostalgia, non certo bisogno) che nel 1958 tornò di nuovo, per una particina di tre minuti, al Medrano: aveva indosso una giacca a grossi riquadri che gli scendeva fino alle ginocchia, un gran panciotto color fiamma, le brache enormi, scarpe grandi come un astuccio di violino e, naturalmente, il viso deformato dal solito violento trucco. Svolgeva la particina, incognito, framezzo alle prime file degli spettatori. Essa durava, come s’è detto, tre soli minuti; ma egli era felice delle risate dei ragazzi, delle loro esclamazioni di stupore, degli applausi, sebbene che nessuno del pubblico sospettasse che sotto le vesti grottesche di quel vecchio clown si celasse l’ultimo superstite dei grandi fratellini.
Aveva allora settantatrè anni compiuti, e un male inesorabile alla gola già lo insidiava:dové quindi abbandonare quell’estrema  brevissima esibizione e rassegnarsi alla sua vita solitaria nella sua vasta casa cinta da giardino. Vi morì tre anni dopo, ponendo fine alla più grande stirpe di Clown che abbia mai calcato le piste, sebbene i nipoti avendo di lui ottenuto l’autorizzazione di perpetuare l’insegna famosa, se ne fregino tutt’ora.

Fonti:(1) Prato Storia e Arte -Azienda autonoma di turismo di Prato- Anno 1967-n.20. pagg.77-85-Biblioteca Comunale Lazzerini.

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