Racconto di Maria Cristina Brachi : Lo sguardo del Lupo

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 Lo sguardo del Lupo

di
Maria Cristina Brachi

Sentii il suo sguardo prima ancora che tutto accadesse, brividi in tutta la mia persona, nonostante fosse freddo, nonostante la neve, erano brividi diversi, dapprima mi sembrarono di paura poi di stupore e, sì, anche di paura per un qualcosa che non conoscevo.

Camminavo con mio marito su per i monti, solite cose, percorsi più o meno conosciuti, insomma senza alcun problema. Erano i primi di febbraio: freddo intenso e neve abbastanza alta. Quello era stato un inverno molto insolito. Novembre e dicembre fitti di nevicate più o meno importanti, ma gennaio si era presentato con un tepore quasi primaverile, che ci aveva fatto dimenticare la neve con tutti i suoi disagi e anche il freddo pungente. Poi ecco febbraio con quella nevicata incredibile, bellissima, quasi da cartolina. Ed ecco la decisione di andare a camminare su per il monte coperto di neve, lasciando impronte profonde su quel tappeto bianco immacolato che ti faceva credere per un attimo di essere i soli abitanti del pianeta, correre e tuffarsi in quel mare bianco come se fosse l’ultima cosa che puoi fare e poi più nulla. Osservare i ghiaccioli con i loro coni appuntiti appesi ai rami degli alberi, negli anfratti delle rocce come decorazioni di natale. E’ uno spettacolo meraviglioso che pur nel suo succedersi cambia sempre, non è mai uguale, ogni nevicata imbianca in modo diverso, ricopre in modo diverso.
Mi ero allontanata da mio marito per andare a vedere qualcosa che poi non c’era, perchè in quello splendido scenario a volte credi di vedere un animale, che poi non è altro che un ramo secco, ma nel momento che toccai un ramo secco sentii qualcosa di strano, c’era qualcosa che non andava: mio marito era molto avanti a me e io sentivo uno sguardo che mi penetrava addosso e mi faceva accapponare la pelle. Fu un attimo, tutto successe in un attimo. In un attimo vidi un animale piccolo disteso e in un attimo ne vidi uno più grande che mi guardava. Era suo lo sguardo che mi penetrava e che sull’inizio mi atterrì.
Rimasi lì chinata senza sapere cosa fare, senza riuscire nemmeno ad alzarmi.

Mi fermai a fissare quello sguardo e tutta la paura passò di colpo, perchè quello che vidi era un grido di angoscia, di terrore ma più che altro vidi una richiesta di aiuto. Allora sempre in quell’attimo capii tutto, capii che dovevo dare una mano al piccolo disteso perchè sua madre, almeno penso, me lo stava chiedendo, non so ancora come ma me lo stava chiedendo.

Mi avvicinai lentamente al piccolo per vedere cosa era successo e quello che potevo fare, perchè quello di cui ero certa, era che qualcosa dovevo fare.

Lo sguardo della mamma era di smarrimento: avrò avuto anch’io quello sguardo, quando tanti anni fa mi fu diagnosticato il diabete? Ricordo che ne passai tanti di momenti di smarrimento, perchè non conoscendo la malattia, non sapevo come affrontarla. Ma poi sono arrivate le armi, affilate come i denti di un lupo, e l’ho usate tutte per cancellare lo smarrimento, per contrastarla e per essere superiore a lei. L’ho combattuta per tanti anni e la sto combattendo anche adesso, ma so di essere un passo avanti a lei e lei lo sa che mai le cederò questo passo.

Il piccolo era stato preso da una tagliola, aveva una zampa messa male che dovevo ad ogni costo liberare. Ad un tratto vidi un movimento con la coda dell’occhio: era mio marito che si stava avvicinando, anzi che voleva avvicinarsi, ma non poteva perchè davanti a lui c’erano due lupi che gli sbarravano il passo. Ci guardammo, bastò il mio sguardo a fargli capire tutto, rimase là fermo senza cercare di venire avanti, con tante domande nei suoi occhi, ma zitto senza proferire parola.

Cominciai a trafficare con quel ferro maledetto, nero, rugginoso, odioso, si veramente odioso. Mi accorsi che fortunatamente era vecchio e che con un pò di fortuna forzando da una parte potevo allentare un pezzo della morsetta metallica. Lo feci ma il piccolo si agitò, come lui mi agitai io e come me si agitò la lupa. Ci guardammo, vidi paura nei suoi occhi, la stessa paura che avevo io quando in sala operatoria con un bel divisorio verde davanti al viso, i dottori mi stavano praticando il taglio cesareo per far nascere la mia seconda figlia. Paura che non fosse sana, perchè sì, era stata concepita quando mi era stato dato l’okay dal dottore per avere un figlio essendo diabetica, ma la paura era tanta e si allentò solo quando la vidi con i miei occhi e vidi che era perfetta.

A quel punto seppi cosa dovevo fare, presi l’orlatura a denti di sega e con forza separai le due parti, sentii un crac, mi si gelò il sangue nelle vene, ma poi mi resi conto che si era spezzata la giunzione dei due ferri e così riuscii a liberare la zampa del piccolo. Tante domande mi passarono per la testa, alle quali non risposi e che cercai di allontanare in tutti i modi, non avevo niente con me solo un pò di acqua nello zaino. Lo aprii, presi l’acqua e la gettai sulla zampa ferita, e poi?

Il suo sguardo era di angoscia, si sarebbe rialzato il suo piccolo? Sarebbe riuscito ancora a correre per quei boschi? Mi rividi in lei quando fu diagnosticato un tumore a mio figlio, gliela avrebbe fatta? Sarebbe riuscito a sconfiggere quel cancro maledetto? Si gliel’aveva fatta con grande determinazione, con tanta voglia di guarire e penso con tanta fortuna. E in quel momento seppi che anche quel piccolo sarebbe ritornato a vivere la sua vita, sarebbe cresciuto e avrebbe dimenticato questo brutto episodio. Lo alzai, anzi lo aiutai ad alzarsi cercando di toccarlo il meno possibile, la zampa teneva bene usciva ancora un pò di sangue, gettai ancora acqua e aspettai. Piano piano si avvicinò alla mamma zoppicando.

Rimasi lì ferma e piano piano gli altri due lupi si avvicinarono al piccolo e alla mamma e insieme cominciarono a camminare verso il bosco, poi prima di entrare fra gli alberi la mamma si girò verso di me e il suo sguardo mi riempì di calore e di gioia: occhi pieni di gratidudine?

  


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