Limberti Giovacchino

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Nato a Grignano di Prato il 15 luglio 1821 + Firenze, 27 ottobre 1874. Religioso. Entrò nel seminario della nostra città molto giovane.Fu amico di Cesare Guasti con cui scambiò un notevole carteggio.Fu rettore del Collegio Cicognini.Diventò Arcivescovo di Firenze.

 GIOVACCHINO LIMBERTI

Nacque da Jacopo e Rosa Mannelli, contadini nel Popolo di San Pietro a Grignano, il 15 luglio 1821. Secondo figlio di cinque fratelli, due maschi e tre femmine, apprese i primi rudimenti del leggere e dello scrivere dal buon Tommaso Puggelli, paffoco di Grignano, com'era nel costume dei curati di quei tempi d'insegnare ai loro popolani. Orfano a 10 anni del padre e ad 11 della madre, fu nelle cure dei due zii sacerdoti: Pietro, canonico, e Martino, cappellano del Duomo e camarlingo del Seminario. Appresi gli erudimenti di latino dall'abate Ceccherini di San Gimignano, dal 1834 al 1837 fu allievo esterno del Collegio Cicognini all'epoca del Silvestri, del Vannucci e dell'Arcangeli. Entrato in seminario -fu allievo del canonico Vincenzo Mazzoni - studiò filosofia e matematica insieme a greco e diritto canonico. Fu segretario e console di quell'Accademia Gherardiana che il rettore Giuseppe Targioni, poi vescovo di Volterra, aveva istituito nel seminario. Seppur di una modestia intimamente sentita, nell'aspetto e nei modi -dice il Guasti portava anche se giovane, un'amabile gravità. Amico di Ferdinando Baldanzi e di Germano Fossi, seguì in seminario gli studi di lettere sotto I'insegnamento del canonico Giovanni Pierallini che sarà vescovo di Colle (di Val d'Elsa) prima, e di Siena, poi. Tutto preso dal desiderio solo di sapere, si dedicò agli studi con passione e profitto. Attento studioso di latino, oltre all'età romano - come diceva il Guasti- il Limberti ricevette il suddiaconato e poi il diaconato nel settembre 1843. Nel giugno 1844 fu ordinato sacerdote celebrando la prima messa nella prioria di S. Pietro a Grignano. Studiò l'ebraico e fu insegnante di catechismo nel Collegio Cicognini quando non era ancora sacerdote. Canonico della cattedrale fin dal 1848, nel 1851 fu nominato pro-vicario dal vescovo Leone Niccolai. Mediatore fra il governo ed il Comune, del quale era consigliere, circa la questione della istituzione e conduzione della scuola liceale, nel giugno 1852 fu nominato dal governo direttore ad interim del Collegio Cicognini dove apportò aggiornamenti negli studi e ristabilì la disciplina. Sussultò nel '48 e scrisse ... ch'ogni città ogni villa / alla pugna s'affretti e goda ... nell'inviare mille schiere. Per i metodi vecchi -dice il Guasti- non ebbe né venerazione né dispregio. Fu attivo componente della commissione sanitaria durante l'epidemia di colera del 1854-55. Il Collegio fu per lui una modesta diocesi che gli servirà da altrettanto modesta scuola quando si troverà a reggere, poi, la diocesi della capitale del granducato. Nel 1857, sciolta ogni prudente riserva, accettava la designazione a quell'arcidiocesi, designazione che era emersa nel corso del concistoro che Pio IX aveva riunito a Bologna il 3 agosto. In Santa Maria del Fiore fu ordinato vescovo proprio da Pio IX il 23 agosto 1857. A 36 anni era dunque a capo di una Chiesa sempre difficile, allora alle prese anche con i governi anticlericali. Con loro e con la massoneria vi furono scontri accesi e talvolta aspri. Per non fomentare false idee del’ incontro di diverse fedi e di "diversi" ideali, ricevette Bettino Ricasoli senza scendere i gradini del duomo.
Anche questo, insieme a tanti altri episodi servì a riversare sul contadino pratese - come lo apostrofavano gli anticlericali fiorentini- le ire del governo e degli anticlericali stessi che in tre circostanze almeno lo attaccarono in modo da sollevargli contro la piazza.
Si racconta che all'insediamento del governo provvisorio toscano del 1859, già si erano manifestate difficoltà. I tedeschi del granduca, ritornati nella Firenze e nella Toscana del'49, avendo bisogno d'un ospedale ebbero a prendere i locali del seminario, sottraendolo all'arcivescovo Minucci che lo riparò in quello di Prato: istituto di un livello culturale che non aveva pari in Toscana. Il Limberti, che teneva alla libertà della Chiesa più che alla sua vita, non esitò a profondersi nel riconquistare col seminario il diritto d'istruzione e di cultura della Chiesa fiorentina, ora sua. Dopo dieci anni il seminario di Firenze riebbe la sua esistenza e la sua libertà. La Santa Sede fu sempre ben difesa da lui anche nei momenti applicativi della legge di mano morta. E contrasti dovette superare col suo clero che a Firenze non è mai stato remissivo. Egli seppe rappresentare l'intransigenza della Chiesa contro l'intransigenza degli anticlericali, non spostandosi mai dalle sue posizioni. Per due volte il Consiglio di Stato ebbe ad occuparsi di questioni di legittimità del suo operato ma il Limberti ne uscì con la ragione riconosciuta.
Deciso assertore dell'unità dei cattolici, sostenne la libertà del Pontefice sovrano e svincolato del tutto dal potere civile. Ma non esitò a presiedere solenni funzioni col canto del Te Deum presente nel Duomo Vittorio Emanuele II, simbolo sofferto dell' unità degli italiani.
Morì a Scandicci (Fi) il 27 ottobre 1874 a soli 53 anni dopo 17 di episcopato.
Fonti:Carità, speranza sociale. L’influenza di Ozanam nella cultura dell’800. Riflessi Pratesi. Gianpiero Guarducci. Società San Vincenzo De Paoli – Prato - pp.170-171 Giunti Editore 1998.
 
 

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