La peste del 1630-1631 a Prato

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La peste del 1630-1631 a Prato

di  Siro Menicucci e Gianna Picchi

Dopo il 1348 ci sono stati altri periodi di tempo in cui la peste ha mietuto numerose vittime; quello che va dal 1630 al 1631 fu uno dei più terribili, in quanto la peste, dopo aver imperversato negli stati dell'Italia settentrionale, arrivò anche nel nostro territorio seminando per oltre un anno terrore e morte.

Quando nel settembre del 1629, cominciarono a giungere notizie allarmanti sui casi di peste scoppiati a Milano e dintorni,  il Magistrato della Sanità di Firenze, facente capo al Granducato di Toscana, inviò una lettera al Consiglio di Prato perché prendesse gli accorgimenti necessari e disponesse i dovuti controlli sanitari. Per questo alla fine di ottobre furono nominati quattro Ufficiali di Sanità, che dovevano occuparsi di istituire un cordone sanitario intorno alle otto porte della città.

 “Si fecero casellini per i custodi a quelle del Mercatale di Porta Fiorentina e di Santa Trinita si fecero Cancelli. “ (2)

Quando nel maggio 1630 giunse la notizia che la peste era scoppiata nella vicina Bologna, i nostri concittadini, temendo che il contagio arrivasse fino nella loro città, intensificarono i controlli sui viaggiatori che provenivano da fuori, specialmente quelli che arrivavano a Vernio perchè quì passavano le strade che collegavano la vallata al bolognese.

“Le precauzioni degli ufficiali sanitari non riuscirono a fermare il nemico. In luglio, la peste invase Trespiano, un villaggio a quattro miglia a nord di Firenze sulla strada di Bologna. In agosto la peste era penetrata a Firenze ed a Tavola, nella giurisdizione di Prato.." (3) pp.11

Tavola fu il primo paese del nostro territorio ad essere colpito dalla tremenda calamità ma nel mese di ottobre il terribile flagello arrivò anche a Prato.   Secondo le disposizioni vigenti, tutte le persone infettate dovevano essere messe in quarantena, chiuse nella proprie case con porte e finestre sprangate, solo i viveri venivano venivano loro consegnati attraverso piccole aperture.

Vi erano in città due ospedali, quello della Misericordia e quello di San Silvestro, che in seguito sarà trasformato nel primo Lazzeretto. Purtroppo nonostante tutti i loro sforzi, gli ufficiali sanitari non riuscirono a contrastare l'avanzata del contagio, anche perchè la popolazione non sottostava alle regole igenico-sanitarie imposte. I malati uscivano dal lazzeretto e si mescolavano ai sani e le persone sane si recavano al lazzeretto a trovare i parenti e quindi si infettavano a loro volta. Inoltre, spesse volte,non veniva rispettato il periodo di quarantena.

La situazione in città divenne molto critica, scarseggiavano i viveri, i medici, i chirurghi i becchini e gli inservienti poichè  molti di loro morivano a causa della malattia ed era importante ma difficile trovare dei rimpiazzi. Per ovviare alla mancanza di personale si attinse anche alle galere e furono costretti ad esercitare la funzione di becchini molti detenuti.

Fu necessario trovare anche un altro Lazzeretto all'esterno della città e dopo molte discussioni per la sua collocazione, si stabilì di aprirlo presso il convento di Sant'Anna, sistemando i frati in altri locali.

“Nel giugno fu data alla Compagnia del Pellegrino la cura del Lazzeretto assegnandole 1.22 mensili. La Compagnia risparmiò le 20 del confessore avendo trovato due cappuccini che gratuitamente si prestarono pel servizio della confessione e adibì le altre 2 lire che già servivano pel cavallo che trasportava i cadaveri ad altri. Avuto che ebbe la Compagnia il Lazzeretto vi elesse altri impiegati.(2) pp.105

In questo contesto va ricordato il provveditore della Sanità Cristofano Ceffini, (1) pp.347 che si adoperò mirabilmente e con tutte le forze per adempiere al suo compito di amministratore, riportando in un diario “Il libro della sanità ” le precauzioni, i provvedimenti da lui adottati e le spese sostenute durante il flagello,lasciando così ai posteri un quadro completo e dettagliato di quanto avvenuto.

“ Per riassumere, le regole di Cristofano erano le seguenti: a) richiudere in casa tutti i sospetti per una quarantena di 22 giorni; b) mandare al lazzaretto i contagiati; c) mandare i sopravvissuti del lazzaretto in casa di convalescenza; d) mantenerveli per altri 22 giorni di quarantena…” (3) pp.34

La peste durò dall'agosto del 1630 al giugno del 1631. In questo triste periodo si stima che in Prato siano morte circa 1.500 persone specialmente quelle appartenenti alle"classi più povere che vivevano in condizioni igeniche disastrose." (1) pp.354

Dopo questa tremenda prova la nostra città riuscì, anche se con molta fatica, a risollevarsi e ritornare dopo diversi anni alla normalità.

La chiesa di Sant'Anna in Giolica, oggi

1) Storia di Prato.Volume II.Secolo XIV-XVIII. Prato. Edizioni Cassa di Risparmi e depositi.1980.2v.
2) Archivio Storico Pratese - G.Giani, Le pestilenze del 1348, del 1526 e del 1631-32 in Prato. Anno IX, 1930-1931,fascicolo II e III.
3) Carlo M.Cipolla. “Cristofano e la peste.” Editrice il Mulino. Bologna 1976.

Ricerche Biblioteca comunale Lazzerini di Prato


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